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Giovanni Lo Storto: “Il male banalizzato”

L’editoriale di Giovanni Lo Storto sulla banalità del male in tutte le sue forme

Hannah Arendt, commentando il processo ad Adolf Eichmann, definì "la banalità del male". Male che diventa banale non quando è radicato in un’indole intrinsecamente maligna, bensì quando è frutto di una sostanziale inconsapevolezza delle azioni che si stanno compiendo. Anche quando queste contribuiscono al massacro di milioni di persone. Poco prima di morire, nel 2017, il filosofo polacco Zygmunt Bauman stava lavorando a un breve testo con il giovane scrittore italiano Thomas Leoncini. Un estratto della loro conversazione tratta da Nati liquidi, in riferimento alle generazioni nate dopo il 1980 in un mondo di flussi costanti e incessanti, è stato recentemente pubblicato su uno dei più prestigiosi giornali di cultura americani, il New York Review of Books. La visione di Bauman del male assomiglia per certi versi a quella di Hannah Arendt. Il male banalizzato e trivializzato, ossia reso normale e ordinario, talora utilizzato quasi come passatempo o divertimento. E questo il caso del bullismo, in tutte le forme che esso può prendere, dalla scuola alle violenze domestiche. Avvenimenti violenti ci scioccano sempre meno perché siamo quasi anestetizzati e perché, prosegue Bauman, a seconda delle circostanze corriamo il rischio di diventare bystauder, ossia testimoni che voltano lo sguardo dall’altra parte. Un fatto scioccante tende a esserlo in quanto tale, ma quando viene ripetuto perde la sua caratteristica di straordinarietà e diventa ordinario. Il male, così, ha perso il suo legame con l’intenzionalità e lo scopo ed è diventato in molti casi casuale, gratuito, sfuggendo alle regole tradizionali del legame causa-effetto a cui il pensiero moderno ci ha abituato. La banalità del male, appunto, si annida in ogni meandro della vita, pronta a manifestarsi alla prima occasione. La strage di Utoya, nel 2011, e l’omicidio di Kitty Genovese nel 1964, ne sono un esempio. Al giorno d’oggi, potremmo collocare molti fatti di cronaca o di vita quotidiana in quella zona grigia di male senza un nesso di causa ed effetto. La migliore risposta a questa tendenza è la cura, l’attenzione e la voglia di contribuire personalmente a migliorare il mondo attorno a noi. La scuola e l’università devono formare anche — e soprattutto – a questo. Il mondo non è degli indifferenti e non c’è più spazio per l’egoismo. Dal cambiamento climatico alla banalizzazione del male, vediamo le conseguenze catastrofiche dell’indifferenza. Le nuove generazioni possono molto, moltissimo per invertire questa tendenza. E da loro che si deve partire per far rinascere una cultura di sensibilità sociale, civica e ambientale che tenga alta l’attenzione sul rischio della trivializzazione del male. Ci si può liberare da questa tendenza, soprattutto ponendo l’accento in modo chiaro sulle seconde opportunità, sulla circolarità dell’economia e della vita, sul recupero di cose e persone. Dobbiamo dare ai ragazzi l’opportunità di toccare con mano che questo è possibile, imparando a creare valore in ogni contesto, capovolgendo il male ordinario in opere straordinarie nel loro essere ordinarie. Il male non è mai banale. Non lasciamo che venga trivializzato e reso ordinario.

Giovanni Lo Storto
Direttore Generale Luiss Guido Carli

FONTE: Formiche
AUTORE: Giovanni Lo Storto

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