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Abete: “Il fisco ci tartassa”. L’intervento di Auro Palomba sul Messaggero

Non è una proposta ma la base da cui partire per mettersi tutti intorno a un tavolo e studiare la riforma del sistema fiscale italiano. Luigi Abete da tempo aveva promesso uno studio sulle dichiarazioni dei redditi dal quale si sarebbe dimostrato che nessuna categoria in Italia può permettersi di giudicare le altre, almeno nel rapporto con l’Erario, e ieri la Confindustria lo ha completato c spedito al presidente del Consiglio Amato e al ministro delle Finanze Goria, ai rappresentanti delle altre Confederazioni e dei Sindacati. II presidente Abete si trovava a Milano, intervenuto al convegno dell’Aifi, e ha approfittato dell’occasione per commentare i risultati dell’analisi, che riguardano i dati relativi alle dichiarazioni ’90, e quindi ai redditi dcll’89, gli ultimi disponibili. «Esistono aree di evasione fiscale all’interno di ogni categoria, esordisce Abete, per cui nessuna di queste può ergersi a giudice delle altre ed emettere verdetti generalizzati di condanna». Bisognerebbe invece, secondo il presidente della Confindustria, approfondire ulteriormente i dati fiscali oggi disponibili, incrociarli con altri e costruire cosi un quadro obiettivo della situazione fiscale attuale sul quale avviare una riforma complessiva della normativa c dell’amministrazione tributaria. Quello che la Confindustria vuole dimostrare, fra l’altro, è che le imprese italiane contribuiscono in modo significativo non solo alla produzione della ricchezza, ma anche del gettito fiscale, e secondo Abete «occorre smetterla di prendere i dati delle imprese individuali come fossero rappresentativi degli imprenditori, che sono compresi in altre categorie (redditi dei dirigenti o da capitale) e pagano imposte molto più alte della media».
Ma veniamo al documento. L’associazione degli industriali parte ricordando che «nell’attuale grave contesto socio-economico, la Confindustria non ha chiesto la revoca dell’imposta patrimoniale sulle imprese, pur criticandola come provvedimento gravoso c antistorico, perché scoraggia gli investimenti dunque la creazione di nuovi posti lavoro. Abbiamo dunque sollecitato un analogo atteggiamento responsabile anche dalle categorie del lavoro autonomo nei confronti della minimum tax, imposta certo generica e con evidenti contenuti di iniquità». L’associazione degli industriali ha quindi deciso di fare questa analisi, esaminando il fenomeno non dal lato del reddito imponibile bensì da quello dell’imposta effettivamente versata, e giunge alle seguenti conclusioni: «Esistono sicuramente arce di evasione fiscale (che non sono però individuate nel documento ndr) queste mele marce sono presenti all’interno di diversi gruppi sociali; nessuna categoria può pertanto ergersi a giudice delle altre ed emettere generalizzanti verdetti di condanna». Abete, firmatario della lettera al presidente del Consiglio, conclude invocando «un nuovo rapporto tra lo Stato e i cittadini, che unisca rigore ed equità, eviti indebite generalizzazioni, che sappia individuare e colpire i soggetti disonesti. Un rapporto che abbia l’obiettivo di recuperare l’evasione, di ridurre le aliquote e di semplificare le procedure fiscali stabilizzando il gettito sui livelli attuali». «L’iniziativa del ministro Goria di attivare una riflessione sulla riforma fiscale è certamente utile, purché l’analisi coinvolga effettivamente le categorie interessate; peraltro appare prioritario che il governo definisca quanto prima schemi informativi più precisi e funzionali, che rendano i dati diffusi all’opinione pubblica un effettivo strumento di politica fiscale». Ed ecco i dati: le tabelle della Confindustria, elaborate su 19 milioni di dichiarazioni dei redditi e su 4,9 milioni di Mod 101 del ’90, mostrano categoria per categoria il reddito medio e la pressione fiscale. Le imprese di capitali del settore industriale dichiarano mediamente 141 milioni di lire (nella media ci sono anche quelle in “rosso”) e subiscono una pressione fiscale del 51,96%, quasi il doppio del peso sui parlamentari, i quali denunciano in media 50 milioni e versano allo Stato il 27,65% del guadagno. Veniamo ai commercianti: l’indagine separa le imprese personali (più piccole) dalle Società per azioni. Le imprese da capitale del commercio al minuto dichiarano in media 32 milioni di reddito (pressione fiscale del 56,16%), mentre i commercianti più piccoli de-nunciano in media 16 milioni (19,45%). Per gli operai invece un reddito medio di 17,7 milioni con una pressione del 15,29%. Per i commercialisti 63,4 milioni c 28,44% c per gli avvocati 47,7 e 27,13%. I medici 54,5 e 26,31 %.

FONTE: Il Messaggero
AUTORE: Auro Palomba

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